Categorie: Fashion

Dall’inizio della pandemia, i CIO delle aziende di moda, come del resto i responsabili dei sistemi informativi di qualsiasi altro settore, hanno dovuto affrontare una serie di sfide molto impegnative: sfide in larga parte superate grazie alle tecnologie digitali, tanto che ormai si può tranquillamente parlare di Fashion Tech.  

La pandemia da Covid-19 ha costretto le aziende a rivedere obiettivi, priorità e organizzazione aziendale, accelerando la transazione da un modello basato sulla presenza in ufficio a uno fondato sul lavoro da remoto e lo smart working. È cambiata anche la domanda, e con essa si è dovuta trasformare la catena logistica, messa sotto pressione dal boom delle vendite via e-commerce o, nei casi più sfortunati, dalle eccedenze di stock. In questo senso i Chief Information Officer hanno rappresentato una delle prime linee di intervento, dovendo garantire durante questo repentino processo di metamorfosi la business continuity senza scendere a compromessi sulla data protection e anzi potenziando la cyber security rispetto agli endpoint e ai terminali dei collaboratori.  

Per il mondo del fashion, dopo un biennio di fortissima trasformazione, il 2022 non sarà da meno. Anzi, la transizione digitale innescata dalle nuove esigenze sorte con la pandemia sarà ulteriormente accelerata durante l’anno, quando i temi della business continuity, dell’operatività da remoto e della sicurezza informatica della rete di approvvigionamento e distribuzione saranno ulteriormente sotto i riflettori. 

 

Il ruolo del cloud al servizio del fashion tech 

La parola d'ordine è agilità. Di fronte alle sfide della logistica e ai rischi che comporta la dematerializzazione dei processi innescata dall'affermazione delle tecnologie digitali, i CIO del fashion tech devono puntare su sistemi tanto flessibili quanto sicuri, coniugando la stabilità delle soluzioni standard con l'efficacia di applicativi verticalizzati, in grado cioè di rispondere a specifiche esigenze del settore. È ciò che consente di fare il Cloud, e in particolare l'hybrid Cloud, che permette di orchestrare in modo trasparente flussi di dati provenienti da fonti eterogenee e residenti in strutture differenti. L'approccio ibrido permette, per esempio, di archiviare le informazioni sensibili, come i dati dei clienti e il know industriale, in un cloud privato, accessibile solamente dall’interno della rete proprietaria. Mentre le risorse necessarie al funzionamento degli applicativi per la produttività, delle piattaforme di comunicazione e di altre tipologie di programmi possono essere conservate presso un public cloud, provider, in modo da risparmiare sui costi di gestione e sulla complessità dell'infrastruttura aziendale. 

 

Il Fashion Tech alla ricerca di un nuovo approccio alla cybersecurity 

Sull'onda dei sempre più numerosi cyber-attacchi, sferrati con approccio opportunistico o, peggio, in modo mirato, man mano che l'ecosistema si allarga i CIO del Fashion Tech dovranno anche rivedere le strategie di sicurezza informatica, intervenendo su due diversi fronti. Da un lato bisognerà implementare nuovi sistemi di controllo e gestione degli accessi alla rete aziendale, dall’altro, invece, occorrerà migliorare la protezione degli endpoint, per evitare che gli attori esterni all'organizzazione che partecipano alla catena del valore diventino inconsapevoli vettori di minacce. Il Cloud rappresenta la risposta migliore in questo senso: migrando i sistemi sulla nuvola si costruisce attorno alle applicazioni uno strato di protezione fondato sulla logica della security by design adottata dai provider. Si ottiene, così, un livello di sicurezza semplicemente inarrivabile per qualsiasi Maison che non sia disposta a tramutarsi in una vera e propria IT company. 

 

Data protection e compliance normativa: una questione (anche) di reputazione 

Nel corso del 2022, sulla spinta dell'omnicanalità e delle interazioni online, nel Fashion Tech si rafforzerà inoltre l’esigenza di costruire strumenti di data protection all'avanguardia. I CIO devono, quindi, aumentare gli sforzi per tutelare i dati sia per preservare l'asset più prezioso di cui dispone una griffe, le informazioni relative ai propri clienti, sia per ottemperare ai requisiti della normativa vigente sulla privacy (il General Data Protection Regulation). Lo scotto da pagare è altrimenti piuttosto pesante. A inizio 2020 H&M è stata per esempio multata per oltre 35 milioni di euro per non aver trattato in maniera conforme al GDPR i dati dei propri dipendenti tedeschi. In casi come quello di H&M, il vulnus, come si può facilmente intuire, non è solo economico, ma riguarda anche gli aspetti reputazionali di un'organizzazione. Ancora una volta, il Cloud risolve alla radice questo problema: affidandosi a provider certificati si ha la garanzia che i dati saranno conservati e trattati con strumenti e metodi costantemente aggiornati, in modo da risultare compliant rispetto alla normativa. 

 

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