Nonostante l’incertezza del contesto economico e il conseguente fenomeno inflattivo, il mercato cloud sta continuando a crescere, in Italia come nel resto del mondo. La componente privata dei modelli enterprise non si sottrae a questo trend, avendo fatto registrare nel 2022 una spesa complessiva (Virtual & Hosted Private Cloud) non solo prossima al miliardo di euro, ma soprattutto in crescita del 15% rispetto all’anno precedente.
Fonte: Osservatorio Cloud transformation
Fin dagli albori del cloud, il concetto dell’ambiente privato (in-house o hosted) ha sempre suscitato interesse nelle aziende per la sua capacità di coniugare i benefici di modernizzazione degli ambienti IT con la massima sicurezza e controllo del dato. Non a caso, il modello cloud che si è imposto a livello enterprise e che tuttora domina la scena è quello ibrido, con un layer gestionale unificato che si estende verso tutte le componenti private e pubbliche.
Il cloud privato riprende diversi punti di forza dell’infrastruttura pubblica, come la semplicità di distribuzione dei servizi, la scalabilità e l’automazione, ma vi aggiunge un forte elemento di personalizzazione e di presidio (degli accessi, del dato...) tipico del modello on-premise, e dunque molto attraente per le imprese.
Miscelando la flessibilità del cloud alla sicurezza e al controllo dell’infrastruttura privata, il cloud privato si è imposto come destinazione ideale dei workload mission-critical e, di conseguenza, come elemento core di modelli ibridi che sfruttano risorse e servizi pubblici soprattutto per la loro scalabilità virtualmente infinita, che, nell’era della data science e dell’intelligenza artificiale, resta un fattore critico di successo.
Per molto tempo, il design single-tenant del cloud privato e le relative capacità di controllo l’hanno resa l’unica opzione percorribile da aziende operanti in settori fortemente regolati, come quello finanziario e l’healthcare per via dei requisiti stringenti di sicurezza, protezione e localizzazione del dato.
Tale trend, che pur permane, si è poi affievolito negli anni a seguito dell'evoluzione dell’offerta cloud e dello sviluppo di piattaforme pubbliche verticali per settori specifici; esse, di fatto, replicano in cloud tutti quei controlli (decine, se non centinaia) che gli operatori hanno implementato negli anni all’interno dei loro ambienti on-premise, e risultano così attraenti anche laddove la regolamentazione è più stringente.
Il processo di migrazione è in divenire e molto graduale: secondo IBM, in ambito bancario l’85% dei workload mission-critical non è ancora in cloud (pubblico).
Sul mercato si assiste poi a un fenomeno di Cloud Repatriation, ovvero di spostamento delle applicazioni e dei carichi di lavoro dal cloud pubblico ad altra infrastruttura, tipicamente privata. Se ne parla molto negli ultimi mesi, ma il fenomeno non è recentissimo: nel documento Voice of the Enterprise: Datacenters di 451 Research (via: block&files) pubblicato a fine 2021, il 48% dei CIO ha dichiarato di aver migrato applicazioni o carichi di lavoro da hyperscaler ad altra infrastruttura, che nell’86% dei casi è il proprio data center. Diverse le motivazioni, tra cui il desiderio di evitare il lock-in, performance non soddisfacenti o, fattore tutt’altro che secondario, i costi. Il costo potrebbe quindi essere un ulteriore elemento di adozione del cloud privato.
La questione del cloud TCO (Total Cost of Ownership), in particolare, è centrale fin dagli albori del cloud e ha alimentato continui raffronti tra public e private cloud proprio in termini di cost-efficiency. Gli elevati costi legati all’acquisto delle macchine e alle competenze gestionali hanno fatto preferire a molte imprese il modello “per-use” tipico del cloud pubblico, ma in determinate circostanze, soprattutto se le aziende mantengono il cloud privato in attività per anni (per via dei costi di infrastruttura), il cloud privato può risultare più conveniente di quello pubblico.
Come si vedrà successivamente, un ulteriore elemento a favore del TCO del cloud privato è dato dall’esternalizzazione dell’infrastruttura, fattispecie tipica del cloud privato virtuale (VPC) e del cloud gestito (hosted). Inoltre, aspetto tutt’altro che secondario, il cloud privato rende certo e prevedibile il costo.
L’elemento che contraddistingue il cloud privato è la single-tenancy, non l’impiego dell’infrastruttura in-house. Non a caso, è proprio il mercato del Virtual & Hosted Private Cloud a crescere: tramite outsourcing, le aziende possono sfruttare i benefici del cloud privato disinteressandosi della gestione dell’infrastruttura sottostante e di tutti i temi legati alle performance della stessa, che peraltro sono fondamentali perché – come si è visto – il private cloud è una scelta adeguata per i workload mission-critical.
In virtù di ciò, la selezione del provider ha un impatto sulle performance di business e sulla continuità operativa. Essa deve basarsi, oltre che su considerazioni di esperienza, competenze, ampiezza d’offerta e infrastruttura proprietaria, soprattutto sui livelli di servizio (SLA) che questo è in grado di garantire ai propri clienti.
Data la complessità della materia, poi, è essenziale che il provider abbia un forte approccio consulenziale, sia cioè in grado – in un mondo che evolve ogni giorno - di disegnare, implementare e gestire la soluzione ideale sulla base del business del cliente, delle sue esigenze di conformità e dei suoi obiettivi, anche in termini di innovazione.