Categorie: Smart working

Fotografare lo stato dello Smart Working in Italia è un’operazione piuttosto complessa, il cui punto di partenza è un numero: 8 milioni. Secondo i dati Eurostat (via: ipsoa), questa cifra corrisponderebbe alla quantità di lavoratori dipendenti che, in condizioni pre-emergenza, avrebbero potuto usufruire di forme di lavoro smart; si tratta comunque di una rilevazione del tutto teorica, poiché nelle classifiche più recenti dello Smart Working europeo, l’Italia occupa una delle posizioni più basse con poco più del 2% della workforce concretamente impiegata in un progetto di remote working. Ovviamente, i numeri sono precedenti a marzo 2020.

Volendo riportare qualche dato più preciso, ci si può invece rivolgere all’Osservatorio del Politecnico di Milano, la cui ricerca più recente (2019) sottolineava un certo progresso nel tema dello Smart Working in Italia: il dato più significativo era infatti l’aumento nella percentuale dei lavoratori smart dal 12,6% (2018) al 13,8% (2019), per una stima complessiva di circa 570.000 persone. Il dato appariva senz’altro incoraggiante per quanto concerne la crescita, ma decisamente lontano dal potenziale del nostro mercato. La stessa ricerca dichiarava poi una netta differenza tra le grandi aziende, il 58% delle quali aveva già avviato un progetto strutturato, e le PMI, nelle quali la percentuale di progetti era cresciuta dall’8% al 12% ma rimaneva una quota decisamente bassa anche perché nello stesso periodo la percentuale di PMI ‘disinteressate’ allo Smart Working era passata dal 38% al 51%.

 

Smart Working in Italia e i numeri dell’emergenza

Curiosamente, nel periodo precedente l’emergenza, il Politecnico affermava che anche nelle grandi aziende la crescita del fenomeno era piuttosto limitata in termini di nuove iniziative, mentre si stava assistendo a una forte crescita della popolazione aziendale coinvolta in quelle già esistenti, che era passata dal 32% al 48%. Quest’ultimo dato è particolarmente significativo perché uno degli aspetti critici dell’attuale emergenza - sotto questo profilo, s’intende – è stata proprio la necessità di estendere con estrema rapidità il Remote Working a quasi tutta la workforce, cosa cui poche aziende erano davvero preparate, anche quelle più evolute in tal senso.

Al momento in cui si scrive, la situazione è in chiaro divenire e non sono quindi disponibili numeri definitivi sullo Smart Working in Italia durante la crisi. Ma qualche dato è già emerso, e in particolare il fatto che, secondo il Ministero del Lavoro (via: corriere.it) siano stati attivati 554.754 nuovi Smart Worker dall’inizio della crisi al 13/3: miscelando questi dati con quelli del Politecnico, si ottiene una crescita del 100% (o quasi) degli Smart Worker italiani in 2 settimane di crisi, cui andranno poi sommati i numeri dell’ultimo mese.

 

Smart Working in Italia: continuità operativa e sicurezza

L’accelerazione verso lo Smart Working in Italia deriva dalla necessità di garantire – laddove possibile – la continuità del business delle aziende, ovvero l’operatività anche in queste settimane difficili. Per riuscirci c’è bisogno di un mix di fattori: gli strumenti giusti, la connettività, l’organizzazione e il mindset corretto. Stanti i numeri di cui sopra, è palese che solo una piccola percentuale di organizzazioni fosse pronta per fronteggiare la crisi avendo accuratamente gestito tutti questi fattori. Di uno, poi, l’azienda non si fa carico: il fatto che 11,5 milioni di cittadini italiani non siano raggiunti dalla banda ultralarga (via: corriere.it) resta un problema non da poco, poiché Smart Working significa anche comunicare in video e trasferire file verso altri colleghi; in queste condizioni, i limiti in upload delle tradizionali connessioni DSL rappresentano un collo di bottiglia inaccettabile.

 

Smart Working: attenzione alla sicurezza

Per quanto riguarda gli strumenti, al di là dei classici laptop, tablet, cuffie e microfono, si può estendere un po’ il discorso parlando di piattaforme di collaboration, di unified communication e di modalità di accesso agli strumenti aziendali, un tema che tra l’altro confina con l’altro grande pilastro dello Smart Working, ovvero la sicurezza. La continuità del business è infatti possibile a patto che si abbia un’operatività da remoto pressoché identica a quella dell’ufficio, il che significa non solo attivare una piattaforma di collaborazione o uno strumento di teamwork e comunicazione cloud, ma riuscire a portare avanti i processi da remoto, il che non è propriamente scontato: basti anche solo pensare a quanto è ancora diffusa la carta in certi ambiti e verticali. In linea di massima, le aziende hanno reagito all’emergenza intensificando l’uso delle piattaforme collaborative in cloud e permettendo l’accesso alle risorse aziendali tramite desktop remoto, il che pone chiaramente una questione di sicurezza da gestire, soprattutto se i dispositivi che effettuano l’accesso sono personali e quindi – di fatto – a rischio.

Con riguardo alla sicurezza, può essere interessante riportare qualche altro dato del Politecnico relativo alle tecnologie a supporto della sicurezza dello Smart Working in Italia: in prima posizione con un enorme 99% dei casi c’è la classica VPN, seguita dal Remote Wipe con il 74% delle aziende, da strumenti evoluti di Mobile Device Management al 73% e da tecnologie di Virtual Desktop (VDI) al 65%, ma con la precisazione – per quanto riguarda queste ultime - di essere spesso limitate ad alcuni lavoratori. Meno incoraggianti le stime sulla sicurezza a due fattori (56%) e sulla crittografia (46%), sulle quali occorrerebbe estendere notevolmente il raggio d’azione in quanto decisamente efficaci.

Resta infine un aspetto da considerare, tutt’altro che secondario: lo Smart Working in Italia (così come nel resto del mondo), non può garantire i suoi benefici senza il mindset giusto, e questa è probabilmente la criticità più importante dell’abilitazione rapida dello Smart Working. Se però gli strumenti ci sono, la sicurezza è garantita e la connettività è adeguata, un processo di change può essere portato avanti anche in remoto, così da approfittare di un’emergenza che nessuno avrebbe mai voluto vivere in un’opportunità per diventare più agili, connessi e produttivi, cogliendone i frutti quando i vincoli verranno allentati. Speriamo che questo capiti molto presto.

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