Tra i trend abilitati dalla trasformazione digitale delle imprese, la servitizzazione nel manufacturing occupa una posizione di spicco. Con questa espressione si intende un profondo cambiamento nel modello di business delle aziende manifatturiere, che passano dalla tradizionale vendita di beni e prodotti alla fornitura di sistemi integrati prodotto-servizio.
Quando un prodotto è “servitizzato”?
Pur trattandosi di un trend core del 2022, la servitizzazione nel manufacturing è un tema piuttosto complesso. In termini pratici, dunque, cosa si intende con questa espressione? Quando un prodotto è “servitizzato”?
Un prodotto è servitizzato quando l’azienda manifatturiera non lo vende direttamente ma fornisce un unicum prodotto-servizio mantenendone la titolarità e adottando formule di tipo pay-per-use e as-a-service, le stesse formule con cui buona parte delle imprese ha a che fare per i servizi cloud. Con tutti i distinguo e le cautele del caso, si tratta dell’estensione al mondo OT di quanto l’IT attua da tempo: negli anni, per esempio, si è passati dall’acquisto delle stampanti per ufficio al noleggio con tariffa mensile e, infine, alla tariffazione basata sul costo copia. Nel mondo consumer, poi, il modello è una perfetta espressione della subscription economy, con cui chiunque ha a che fare quotidianamente: si pensi, per voler citare uno dei molti casi, al noleggio dell’auto per un breve spostamento in città, con tariffazione a chilometri percorsi.
Alcuni esempi di servitizzazione nel manufacturing
Gli esempi di servitizzazione non mancano. Chi produce macchinari industriali può avvalersi agevolmente del nuovo modello: grazie ai sensori integrati, può infatti monitorare in modo costante l’operatività della sua macchina, eseguire servizi da remoto e ottimizzarne le performance a beneficio dei propri clienti. In casi come questo, è semplice attivare modelli di vendita a servizio, proprio perché il prodotto è integrato in un ecosistema digitale connesso, che lo governa e lo ottimizza.
La digitalizzazione del prodotto, la sensorizzazione, i digital twin e l’Internet of Things fanno sì che gli esempi di servitizzazione vadano ben al di là di chi produce i macchinari: si pensi a Rolls Royce, che ha attivato un modello di vendita dei propri propulsori a turbina per aerei basato sulle ore di volo e comprendente servizi di aggiornamento e manutenzione. Oppure, si pensi a tutti quei prodotti che, in ambito aziendale ma anche consumer, sono diventati smart product nel corso del tempo: la quantità di informazioni che essi possono (potenzialmente) trasmettere ai produttori li rende ideali per un modello di business basato sulla tariffazione pay per use. Andiamo quindi dagli smartphone alle stampanti, per le quali si passa dalla vendita del prodotto fisico alla proposta di servizi di stampa; dall’arredo per ufficio alle flotte di auto aziendali. Nell’ecosistema digitale, non c’è prodotto che non possa essere proposto con un modello a servizio.
Servitizzazione nel manufacturing e il ruolo del cloud
In questa profonda trasformazione di modello, qual è il ruolo della tecnologia, e in particolare del cloud? In sostanza, il cloud funge da basamento stabile di un complesso ecosistema tecnologico che consente all’azienda di erogare il servizio, controllarlo e migliorarlo il più possibile, costruendo su di esso il proprio vantaggio competitivo. Per esempio, l’azienda che produce e fornisce macchinari industriali deve garantire ai propri clienti l’efficienza operativa e la continuità, ma può anche farsi carico degli interventi manutentivi, degli aggiornamenti, del monitoraggio costante dello stato del prodotto e della sostituzione dei componenti soggetti a usura senza che il cliente debba occuparsene in forma diretta, così da permettergli di concentrarsi sulle attività core. È qui che interviene quel complesso di tecnologie, connettività e capacità analitiche che ha nel cloud il proprio elemento cardine e senza il quale l’intero concetto di servitizzazione nel manufacturing non sarebbe concretizzabile.
Trasformare i dati in informazioni di valore
Se il punto di partenza è senza dubbio IIoT (Industrial Internet of Things), che si occupa di acquisire i dati dai prodotti, è giusto porre l’accento sul cloud poiché i dati grezzi non hanno alcuna utilità. Essi, infatti, devono passare attraverso un puntuale processo di selezione, aggregazione, arricchimento e classificazione che permetta – in tempo reale – di dar loro un significato utile e concreto. Il cloud abilita la trasformazione dei dati in informazioni di valore, cioè ad abilita un modello data-driven che è fondamentale in ottica di servitizzazione. I motivi sono palesi: il cloud offre innanzitutto capacità di storage e potenza di elaborazione più che adeguate allo scopo, potendo farsi carico di volumi di dati ingenti e in continua e costante crescita. La scalabilità rappresenta, quindi, il principale fiore all’occhiello del cloud e fa sì che esso si adatti agevolmente a qualsiasi scenario e caso d’uso, permettendo l’accessibilità dei dati e un ottimo livello di sicurezza che è fondamentale in tale contesto.
Il cloud è, poi, una scelta ideale per la sua resilienza (soprattutto con riferimento specifico all’hosted private cloud in DC Tier IV) ed è strettamente connesso al terzo abilitatore della servitizzazione nel manufacturing, ovvero agli analytics: è in cloud che avviene l’analisi dei dati, il loro arricchimento e la trasformazione in informazioni che – a titolo d’esempio – possono prevenire un guasto correlando diversi dati acquisiti in tempo reale dai macchinari come temperatura, velocità e rumorosità. Inoltre, a tal fine ci si può affidare a tecnologie avanzate come l’Intelligenza Artificiale e il Machine Learning, che possono garantire risultati sempre più precisi, capacità predittiva e un costante miglioramento delle rilevazioni rendendo il controllo dell’apparecchio (e quindi il servizio erogato) un fattore d’eccellenza nonché un elemento cardine del proprio vantaggio competitivo.
Gli ultimi dati (fonte McKinsey), infatti, evidenziano che i vantaggi registrati dalle aziende che hanno fatto tali investimenti includono riduzioni dal 30 % al 50 % dei tempi di inattività, miglioramenti dal 15 % al 30% in produttività del lavoro, dal 10 % al 30% di aumento di capacità produttiva e diminuzione del costo della qualità dal 10 % al 20 %. Tali risultati sono molto più importanti se si pensa all’ impatto lungo l’intera value chain, anche se più difficile da misurare: maggiore flessibilità per soddisfare la domanda dei clienti, una maggiore velocità di commercializzazione ed una migliore integrazione nella supply chain.