La rivoluzione digitale ha nel cloud il suo rompighiaccio. Da più di un decennio, esso rappresenta infatti la piattaforma stabile su cui costruire un’impresa agile e moderna. La rivoluzione parte dall’IT ma coinvolge tutta l’azienda, che grazie al cloud può sviluppare nuovi modelli operativi e di business, ridurre le distanze con i propri clienti, costruire customer experience d’eccellenza e abilitare modalità agili di lavoro e di comunicazione.
In Italia, il percorso di adozione del cloud ha risentito di una certa resistenza iniziale e di qualche rallentamento dovuto ai limiti delle infrastrutture di rete, ma nonostante i ritardi, il ricorso delle aziende nostrane ai sistemi di cloud pubblico e privato, e alla loro combinazione nell’Hybrid cloud, continua a crescere.
Nel 2020, il cloud è stato il più grande alleato della resilienza d’impresa e ha permesso al tessuto economico italiano di non fermarsi nonostante chiusure e lockdown. A titolo d’esempio, si pensi all’impatto dello smart working, rispetto al quale il cloud è la vera e propria piattaforma abilitante.
Nel 2021, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, il cloud è diventato un elemento centrale della ripresa economica. Lo dimostrano i dati: il mercato vale ora 3,84 miliardi di euro, con una crescita del 16% rispetto al 2020. La sua componente principale è costituita dal Public & Hybrid Cloud, che ha fatto registrare una crescita del 19%, mentre tra i servizi il Software as-a-service resta il comparto più ampio (ma stabile rispetto allo scorso anno) e cresce l’adozione dei servizi PaaS (+31%), a testimonianza di profonde esigenze di modernizzazione del parco applicativo. In generale, oggi il cloud rappresenta per quasi tutte le imprese il fondamento dell’operatività, della resilienza e dell’innovazione, anche in settori fortemente regolati (si pensi al finance o all’healthcare) e sui quali gravano oneri ‘rafforzati’ di sicurezza e data protection.
La rivoluzione del cloud
Per prima cosa, l’adozione del cloud porta ad un cambiamento profondo nel ruolo e nelle funzioni tipiche dei reparti IT. Se prima, infatti, a loro era affidato l’incarico di provisioning delle applicazioni e dell’infrastruttura dei sistemi informativi, nonché di installarle, aggiornarle, manutenerle e metterle in sicurezza, con il cloud tutto questo viene meno. Come in tutti i percorsi di trasformazione digitale, il cloud riduce la pressione sulle risorse interne (IT) per quanto concerne le attività di routine, permettendo loro di concentrarsi su task ad alto valore aggiunto come la modernizzazione applicativa o lo sviluppo di software a supporto dei nuovi modelli di business.
Inoltre, la crescente richiesta di risorse di elaborazione e di storage sempre più capienti sta facendo propendere per soluzioni basate sul cloud che, nell’assicurare potenza di calcolo e velocità prestazionali, riducono i costi TCO (Total Cost of Ownership), abbattono gli investimenti hardware e ottimizzano la spesa in assistenza sistemistica.
Il ruolo strategico dell’IT
Come anticipato, in questo nuovo quadro il personale IT è alleggerito dalle incombenze quotidiane avute fino a oggi, oltre che come referente per l’installazione e l’aggiornamento software, quale amministratore di sistema o responsabile del backup dati. Adesso è chiamato a ricoprire una veste un po’ meno tecnica e un po’ più strategica. Tant’è vero che le figure professionali che operano nel settore devono ampliare il proprio bagaglio di competenze spaziando dalla conoscenza dei server agli hardware di rete, dalla virtualizzazione alla protezione dei dati. E questo a prescindere poi dal fatto che siano tali figure a implementare direttamente in azienda una o più soluzioni specifiche. A loro, invece, sempre di più spetterà il compito di analizzare i fabbisogni informativi e tecnologici, in stretta correlazione con le varie business unit aziendali, e di individuare i partner esterni capaci di garantire le migliori performance sulla base di SLA (Service level agreement) concordati con il management. Anche la security dei sistemi gestiti in outsourcing, non più presidiata direttamente dall’organico IT interno, dovrà essere ricercata come requisito del vendor con cui si intende collaborare. Datacenter con certificazione Tier IV e adozione di standard della famiglia ISO/IEC 27000 possono rientrare, per esempio, nei requisiti da verificare prima di concludere accordi con i fornitori di servizi Cloud.
Il nuovo reparto IT fra cloud pubblico e privato
In definitiva, un moderno reparto IT deve affiancare i cloud provider nella definizione degli ambienti più adatti (pubblico, privato, ibrido) ai workload, in maniera flessibile, scalabile e modulabile sulle reali esigenze del business. Basti pensare che carichi di lavoro improvvisi possono necessitare di quelle risorse aggiuntive che la nuvola può offrire grazie alla sua scalabilità nativa, senza per questo essere costretti a destinare investimenti in anticipo (up-front investment) acquistando server dedicati che, passata l’emergenza, risulterebbero sovradimensionati per i bisogni standard dell’azienda. Il personale IT potrà anche concordare un utilizzo parziale del cloud pubblico da affiancare alle piattaforme on premise se riterrà che la migrazione graduale verso la nuvola o la convivenza di cloud pubblico e privato sostengano una produttività elevata e documentabile dei flussi di lavoro. L’importante è che, al risparmio derivante dai minori costi infrastrutturali, si aggiunga una maggiore efficienza derivante da un uso delle applicazioni critiche senza interruzioni operative o disfunzionalità.