Più che ‘servire’, l’esistenza di soluzioni di continuità operativa è fondamentale per la Brand Reputation. Sarà infatti capitato a tutti, si spera il minor numero di volte possibile, di non poter concludere un’operazione o un acquisto perché “il sistema non sta funzionando”, con conseguenti diversi infruttuosi tentativi di portare a termine l’azione. Le pagine dei giornali abbondano di casistica: dal fault di prestigiose piattaforme di ecommerce durante il Black Friday, al sistema che gestisce i pagamenti andato misteriosamente in tilt al personale delle compagnie aeree che distribuisce carte d’imbarco scritte a mano causa “guasto ai sistemi”, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Chiaramente, i downtime che fanno notizia sono quelli delle grandi enterprise, ma garantire la business continuity, o almeno la capacità di ripristinare l’operatività nel minor tempo possibile, è un imperativo per le aziende di qualsiasi dimensione.
Quando l’evento traumatico colpisce i servizi core di una grande azienda che è impreparata a farvi fronte, una volta terminata la burrasca si fa il conto dei danni: ingente perdita di fatturato, quindi lucro cessante, ma anche danni risarcibili ai clienti, all’intera catena del valore e conseguenze legali di entità più o meno grave a seconda dei casi. Una ricerca di IDC (via: TechRepublic) avente per oggetto aziende Fortune 1000, quantificò in una cifra compresa tra 1.25 e 2.5 miliardi di dollari il costo annuale del downtime imprevisto, e tra 500.000 e 1 milione di dollari il costo orario nel caso di applicazioni critiche.
Continuità operativa e Brand Reputation, un legame indissolubile
Se è vero che la perdita di fatturato è la prima cosa a cui si pensa, che dire dei danni d’immagine? A seconda dei casi, non avere un piano di continuità operativa può portare a effetti gravissimi sulla brand reputation e sulla capacità dell’azienda di costruire o mantenere un rapporto di fiducia con i suoi clienti: tutte le volte che una compagnia aerea lascia a terra i suoi passeggeri deve ‘semplicemente’ risarcire il danno, ma quanti di questi passeggeri daranno nuovamente fiducia al brand la volta successiva? Se per due volte il sistema di pagamento impedisce un certo acquisto, è decisamente più probabile provare un altro negozio che persistere nello stesso.
Come interagiscono brand reputation e continuità operativa
Rispetto al guadagno calante e al danno emergente, le ricadute del disservizio sulla brand reputation sono quantificabili con maggiore difficoltà, anche se – a seconda dei casi – potrebbero essere ben peggiori della perdita diretta di fatturato. La possibilità di quantificare un danno d’immagine c’è, ma vanno tenuti in considerazione moltissimi fattori quali, solo per citarne alcuni, il tipo di evento (un data breach è solitamente più grave di un downtime), la velocità di reazione, la capacità di ripristinare l’operatività senza apparenti disagi, il numero di soggetti e il tipo di servizio coinvolto. Inoltre, c’è un’enorme differenza tra l’evento totalmente catastrofico (un incendio su larga scala, un terremoto) e quello che, con un puntuale approccio preventivo, sarebbe stato evitabile. Nel primo caso, se i soggetti danneggiati sono i consumatori finali, di solito questi sono disposti a chiudere un occhio se l’interruzione del servizio è stata breve e gestita con tutte le attività che vanno messe in campo nei momenti di crisi. Un tempestivo processo di disaster recovery, unita a una giusta comunicazione e gestione del cliente, potrebbe far passare in secondo piano le conseguenze d’immagine, ma se anche la gestione è stata carente, le ricadute possono davvero diventare importanti.
I costi di una mancata continuità operativa per la Brand Reputation
Come quantificare, dunque, il costo di non avere un piano di continuità operativa sulla reputation del marchio? Operazione non facile, ma possibile: bisogna mettere in conto tutti i costi da sostenere per gestire la comunicazione durante la crisi e poi tutte le attività di marketing successive che rientrino nella strategia di ricostruzione della brand reputation e della fiducia nei confronti del marchio. Inoltre, è probabile che i rapporti commerciali e le pipeline di vendita vadano riviste proprio in funzione della necessità di riacquisire tutti quei clienti che, vista l’incapacità dell’azienda di far fronte alle avversità, hanno iniziato a guardare i competitor con un certo interesse. Non era meglio prevenire?