La continuità operativa è il pilastro di ogni attività economica. Il concetto sarà anche banale, ma ha in sé una verità indiscutibile: se non si produce, il sistema economico non funziona. Non c’è stato bisogno del Covid per rendersene conto: in tempi assolutamente non sospetti (anni fa), Gartner dichiarò che un downtime potesse costare fino a 5.600 dollari al minuto, mentre la National Archives and Records Administration americana sostenne che un’interruzione di 10 giorni avrebbe portato il 93% di tutte le aziende alla chiusura nell’arco di un anno (via: Makeuseof).
Nonostante queste consapevolezze, purtroppo non tutte le aziende hanno attivato nel corso degli anni un vero investimento, cioè un piano strutturato per garantire la continuità operativa del business di fronte ad emergenze prolungate. Si discuteva quotidianamente di come impedire un data leak, un attacco dall’esterno, un’intrusione nel data center o anche a come reagire di fronte a un’interruzione della connettività o dell’energia, ma difficilmente si sarebbe potuto ipotizzare un evento così disruptive, e soprattutto così diffuso e di lunga durata, come l’emergenza che stiamo vivendo. Purtroppo, è successo: il virus si è abbattuto su tutte le aziende nello stesso modo e ha creato una frattura profonda tra quelle che erano già strutturate per operare senza accesso fisico ai sistemi e alla sede aziendale e quelle che invece non avevano ancora operato il passaggio verso modalità operative, organizzative, di mindset e tecnologiche dell’era 2.0.
Questo non significa che le aziende già strutturate per il lavoro da remoto non abbiano dovuto affrontare una sfida, poiché di solito lo Smart working era garantito solo a una piccola parte della popolazione aziendale. L’adeguamento alle nuove condizioni, tuttavia, è stato tutto sommato gestibile e la continuità operativa preservata. Le altre aziende, che i numeri ci dicono essere quasi tutte le PMI, hanno “improvvisato” lo Smart working con una VPN e l’acquisto di tool cloud di collaboration e comunicazione interna: anche in questo caso l’azienda non si è completamente fermata, ma l’assenza di una cultura del lavoro distribuito, nonché di una mentalità e di un’organizzazione capaci di fare a meno del contatto fisico hanno senz’altro importanti ripercussioni sulla produttività ed espongono l’azienda a rischi di sicurezza.
Il virus ha cambiato le carte in tavola e, per quanto siano ormai chiare le sue dinamiche, non sono ancora certe tutte le implicazioni sociali ed economiche che avrà nel prossimo futuro. L’ipotesi della convivenza prolungata, formulata fin dall’inizio del 2020, resta la più verosimile e probabile.
Nel frattempo, lo smart working è diventato il nuovo modello di lavoro in molte aziende, che ne hanno apprezzato i benefici durante gli ultimi anni e hanno deciso di mantenerlo attivo anche al di fuori dei periodi emergenziali. La continuità operativa per le aziende passa proprio dall’adozione di modelli di lavoro smart e diffusi, nonché dall’impiego dei migliori strumenti abilitanti, cloud in primis.
In tempi difficili, il successo passa attraverso l’abilitazione di paradigmi di lavoro in grado di garantire la continuità operativa per le imprese. Per questo, nel corso dei mesi lo smart working emergenziale si è trasformato in un paradigma ibrido e fondato su una corretta miscela di presenza fisica e lavoro smart per tutta la workforce. Questo, ricordando un parallelo con l’hybrid cloud, rappresenta il “meglio dei due mondi”: l’empowerment del dipendente, che può decidere dove e quando lavorare, si somma ai benefici in termini di engagement e di saving sugli spazi aziendali, che possono essere riprogettati secondo il modello dell’activity based working.
La pandemia ha insegnato – e sta insegnando – che gli strumenti capaci di garantire continuità operativa per le aziende esistono eccome. Ripetiamo, però, che non si esauriscono nell’acquisto di un tool che permetta di comunicare via web. Oggi le aziende possono effettuare una transizione dalla relazione d’ufficio all’hybrid working “reale”, facendo sì che tutti i processi siano integrati con strumenti di collaboration, di comunicazione VoIP, di web conference, nonché di accesso alle applicazioni aziendali. Oggi c’è il cloud, c’è la sua scalabilità e – soprattutto – la sua sicurezza; ci sono tecnologie di virtualizzazione del workplace che permettono di accedere in sicurezza alle applicazioni aziendali, ci sono modelli di security che non si basano sul perimetro della rete aziendale ma che sono efficaci a prescindere dal luogo e dal dispositivo che effettua l’accesso. Tutto sta a sfruttarli nel migliore dei modi.
In era pandemica, la continuità operativa per le piccole imprese è una priorità assoluta. Tuttavia, i dati del 2020 e del 2021 ci riportano un quadro ancora lacunoso sotto il profilo dei modelli di lavoro smart: secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, mentre il 65% delle grandi imprese può contare su progetti strutturati di Smart Working, la percentuale scende al 19% nelle PMI. Ancor più preoccupante il fatto che il 44% delle piccole e medie imprese non abbia nessuna iniziativa in corso né sia prevista per il prossimo futuro.
La continuità operativa per le piccole imprese si costruisce attraverso un solido progresso a livello culturale e organizzativo, poiché la tecnologia non è un ostacolo in nessun caso. Spesso, però, le PMI faticano a imprimere la forza necessaria per superare un modello culturale sedimentato nei decenni: passare da un paradigma lavorativo basato sul tempo e sulla ferrea associazione di spazio e funzione (ufficio = lavoro) a uno incentrato solo sul monitoraggio delle performance è molto sfidante poiché obbliga l’impresa a rivedere (talvolta, in modo radicale) il proprio modello organizzativo. Si tratta comunque di una trasformazione che va intrapresa in ogni caso, poiché dalla agilità della workforce dipende la competitività dell’impresa, la sua capacità di attrarre e – soprattutto – di trattenere talenti, nonché di competere ad armi pari con nuovi i nuovi player agili, agguerriti e smart che si stanno affacciando in ogni mercato.